May
                  Sinclair, Le tre Brontë, introduzione, traduzione
                  e note di Maria Del Sapio Garbero, Napoli, Liguori, 2000 
                Esempio
                    di un modo nuovo,  ‘modernista’,
                  di fare biografia, questa monografia delle Brontë  che
                  May Sinclair scrive nel 1912 insegue e tesse un effetto:  “un
                  effetto di unità, di consonanza, di profonda e tragica
                  armonia” che […] agisce sulle Brontë con
                  la fatalità  di un destino poetico. I ‘ritratti’ di
                  May Sinclair […] scartano l’inessenziale, conservano
                  la necessità dei rapporti e delle proporzioni. Tributo
                  di un’artista verso altre artiste, ricerca di una genealogia
                  per la scrittura femminile, May Sinclair coglie tutta la novità delle
                  Brontë: la nascita di una mistica della passione femminile;
                  la forte coscienza della diseguaglianza dei sessi presente
                  con tutto il suo carico di dolore nei romanzi di Charlotte,
                  ma che non manca neppure in quelli di Anne; la posa superba
                  di Emily rispetto alle insufficienze della vita. A lei soprattutto
                  May Sinclair strappa (per consegnarlo al Modernismo) lo sguardo
                  visionario, il potere che lo sguardo interiore ha di trasformare
                  la mancanza in pienezza, ovvero un nuovo senso di realtà  che
                  vibra di un significato che è altro da sé, e
                  che è  raggiungibile in virtù di una privazione
                  e di un’attesa. È  il vincolo speciale che, in
                  gradi diversi, lega le Brontë alla materia, a Haworth
                  e alla loro brughiera, e che nella ‘vita’  scritta
                  da May Sinclair diviene selettivo principio ordinatore, avvincente dispositio narrativa,
                  criterio di verità.  
                  
                Maria
                    Del Sapio Garbero insegna Lingua e Letteratura Inglese presso
                    l’Università  Roma
                  Tre. Ha scritto di romanticismo, vittorianesimo, fin de
                  siècle, modernismo, oltre che di questioni connesse
                  con la postmodernità e i gender studies. Fra
                  i suoi studi: L’assenza e la voce (Liguori)
                  e Alice nella città (Tracce). Ha curato il
                  volume Trame parentali/trame letterarie. Di May Sinclair
                  ha già curato (per Argonauta) L’incrinatura
                  nel cristallo (1991) e Storie fantastiche (1992).  
                 (dalla quarta di copertina) 
                 Si sono
                    escogitate teorie di ogni tipo per spiegare il modo rapido
                    e prodigioso con cui vennero fuori i romanzi delle tre sorelle.
                    Si è detto
                  che li scrissero solo per pagare i debiti dopo essersi rese
                  conto che le poesie non rendevano. Sarebbe più esatto
                  dire che li scrissero perché  era destino scriverli,
                  e perché la loro ora era arrivata, e che li pubblicarono
                  senza la più vaga speranza di poterne trarre profitto.
                  Prima che si rendessero conto di quanto stava loro capitando,
                  Charlotte si trovò coinvolta in quella che a lei sembrò una
                  mascolina corrispondenza d’affari con le case editrici.
                  Prima uscirono le Poesie a nome di Currer, Ellis e
                  Acton Bell, e nulla accadde. Il professore fece il suo giro
                  di editori, e nulla accadde. Poi, sul finire del quarto anno
                  ecco apparire Jane Eyre e Charlotte fu famosa. Ma
                  non Emily. Uscì  pure Cime Tempestose, e nulla
                  accadde. […] Il suo bagliore avrebbe dovuto bruciare
                  ed annientare Agnes Grey, ma nulla accadde.(p. 35) 
                Può succedere che una
                  biografia venga scritta per effetto di un maleficio, in preda
                  a una fascinazione che seduce in un luogo ineffabile, verso
                  una ‘cosa’  che viene al tempo stesso promessa
                  e negata. Succede nelle grandi biografie, agli artisti appassionati
                  della vita di un altro artista, artisti innamorati dell’anima
                  del loro fantasma, e dello scenario in cui ha abitato, così come
                  si può esserlo del segreto stesso della loro arte. La
                  biografia diventa allora lavorio per far apparire nel gesto
                  ripetitivo della scrittura biografica, quella  ‘cosa’ che
                  si vorrebbe per sé, che si vuole capire e carpire. La
                  devozione sottointende allora un agone, un agone che può  durare
                  una vita […] May Sinclair scrive la vita delle Brontë  sotto
                  l'effetto di questo maleficio, preda di fantasmi che promettono
                  di condurla verso il luogo stesso della poesia. Perché questo,
                  a me pare, che lei più di altri che l’hanno preceduta
                  intuisce: che nelle Brontë il luogo biografico - un pezzetto
                  dello Yorkshire - ha agito con la fatalità di un destino
                  poetico. […] 
                  Nel 1912 pubblica Le tre Brontë. Una biografia
                  letteraria che non sarebbe stato necessario scrivere (già molto
                  allora si era non fosse per quell’effetto (di unità,
                  di consonanza ...) con il quale May Sinclair vuole far combaciare
                  non solo la vita delle Brontë, ma lo stile stesso della
                  sua scrittura. 
                  
                E decidendo
                    che è  in
                  quell’effetto la verità della vita delle
                  Brontë, May Sinclair rivoluziona la forma della biografia.
                  Intanto la sfronda, alleggerendolo della massa di fatti che
                  può  intralciare l’effetto, offuscarlo o tradirlo.
                  […] Per May Sinclair (e lo capiamo meglio dopo aver
                  letto TheThree Sisters, un romanzo ispirato alle Brontë che
                  scrive subito dopo, nel 1914), si tratterà sempre più di
                  far coincidere il senso intero di una vita, e il suo arco lungo,
                  con l’attimo (o con gli attimi) in cui l’io si
                  incontra con la visione […]. 
                Così come nel romanzo
                  che il modernismo scriverà, la scrittura biografica
                  ne Le tre Brontë si tende attraverso un lavoro
                  di scarto e non di accumulo verso le figure che vuole ritrarre.
                  Perché è  secondo l’ordine dettato dalla
                  vita interiore che May Sinclair sente di dover scegliere e
                  disporre i materiali della vita. Sente cioè di doverli
                  organizzare secondo l’economia che ha a centro l’incontro
                  che attraverso l’arte le Brontë hanno stabilito
                  con l’intangibile. Che è poi l’ordine proprio
                  al  «ritratto» o «romanzo dell’artista».
                  Una scelta difficile: perché da biografa dovrà allo
                  stesso tempo rassegnarsi ad attraversare la prosaicità delle
                  parole comuni, e farsi strada fra una massa di materiali di
                  seconda mano […]. 
                  I ritratti di May Sinclair sono scritti in questa brontiana
                  economia dell’ineluttabile. Scartano l’inessenziale,
                  conservano la necessità dei rapporti e delle proporzioni.
                  Hanno il «grande tratto», la pennellata essenziale
                  e incisiva che li fa sfumare con  «consonanza» nel
                  cromatismo essenziale dello sfondo. Una virata importante per
                  la biografia dell’epoca. 
                  Per fare questo, per diventare più elementare, meno
                  letterale e più  penetrante, May Sinclair ha recuperato «l’innocenza
                  dello sguardo» […] (da: Il Granito e il Biancospino di
                  Maria Del Sapio Garbero, pp. 1-2; 13-4) 
                Collegamenti 
                   http://www.bronteitalia.it 
                    http://www.liguori.it 
                    http://www.women.it/ 
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