Graziella
                  Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia
                  Pozzi e la sua poesia, Milano, Viennepierre, 2004 
                
                  
                  
                  
                  La poesia di Antonia Pozzi, intellettuale milanese morta suicida
                  a soli ventisei anni nel 1938, fu sottovalutata nel pur aperto
                  ambiente culturale da lei frequentato, mentre, negli anni Quaranta,
                  suscitò l’interesse di Montale e Parronchi. In
                  tempi più recenti è stata clamorosamente riscoperta
                  da un vasto pubblico e dalla critica, sia in Italia che all’estero,
                  grazie alla progressiva pubblicazione delle opere pozziane,
                  conclusasi con la recentissima uscita degli ultimi inediti
                  (Antonia Pozzi, Poesia, mi confesso con te, a cura
                  di Onorina Dino, Milano, Viennepierre, 2004). 
                  In questa nuova biografia critica la travagliata vicenda umana
                  di Antonia Pozzi è  ricostruita in tutti i possibili
                  risvolti con un appassionante andamento narrativo, ma anche
                  con un particolare rigore filologico e storico nell’utilizzazione
                  di tutti i documenti disponibili e delle numerose, e spesso
                  inedite, testimonianze. Costante è inoltre nel libro
                  l’attenzione alla sua straordinaria poesia, nella quale
                  la notevole elaborazione formale non mette mai in ombra il
                  vibrare dell’esperienza di vita da cui essa è scaturita. 
                Graziella Bernabò, dopo
                    la laurea in Lettere si è  perfezionata in Letteratura
                    italiana presso l’Istituto di Filologia Moderna dell’Università degli
                    Studi di Milano. Insegnante di scuola media superiore, si
                    occupa da tempo di letteratura contemporanea italiana e straniera.
                    Suoi saggi e articoli sono apparsi su “Acme”, “Studi
                    Novecenteschi”, “Italianistica”,  “Confini”, “Uomini
                    e libri”, “Materiali di Estetica”,  “Quaderni
                    di Via Dogana”. Ha pubblicato Invito alla lettura
                    di Landolfi, Milano, Mursia, 1978 e Come leggere “La
                    Storia” di Elsa Morante, Milano, Mursia, 1991.
                    Da alcuni anni si interessa prevalentemente di scrittura
                    femminile.  
                (dalla seconda e quarta di copertina) 
                  
                
                  
Non è facile raccontare la vita di una donna. E non
                  solo per l’inevitabile soggettività che interviene
                  in qualunque biografia, ma anche e soprattutto per il rischio,
                  maggiore rispetto alla ricostruzione di una storia maschile,
                  di cedere alla tentazione di schemi interpretativi meccanici
                  e di luoghi comuni. 
                  La storia ufficiale, la  “Storia” con la “S” maiuscola,
                  che Elsa Morante definiva con giusta perentorietà nel
                  sottotitolo di una delle sue opere più  celebri «uno
                  scandalo che dura da diecimila anni», e la cultura, che
                  in essa si inquadra, sono filtrate, tanto dalle donne più semplici
                  quanto da quelle più originali e creative, attraverso
                  esperienze e pensieri che hanno a che fare con la loro specifica
                  emozionalità, con il loro stare nel mondo appunto come
                  donne e non come uomini. 
                  Arte e vita, in coloro che hanno lasciato una traccia di sé,
                  sfuggendo all’oblio che nel passato era solitamente inscritto
                  nel destino femminile, vanno perciò rintracciate, più che
                  nei rimandi a vicende clamorose o nell’adesione a movimenti
                  culturali ben definiti, nelle pieghe di vite spesso difficili
                  e fraintese, e nelle particolarità di linguaggi poco
                  allineati con quelli dominanti nelle epoche e negli ambienti
                  in cui esse operarono. […] Di fronte a versi di così intenso
                  impatto emotivo come quelli di Antonia Pozzi, viene spontaneo
                  interrogare anche la sua vita, intensa ma breve, e da lei volontariamente
                  conclusa nel dicembre 1938, all’età  di ventisei
                  anni, su un prato di Chiaravalle, ai bordi cioè di quella
                  Milano nella quale il prestigio e la ricchezza della famiglia
                  avrebbero potuto consentirle un’esistenza agiata e facili
                  consensi, se non si fosse giocata interamente con quella  «sincerità  e
                  follia dei puri» di cui parlò sulla rivista “Corrente”  Enzo
                  Paci dopo la sua morte. E dunque naturale domandarsi chi era
                  veramente Antonia, com’erano il suo volto e la sua voce,
                  quali luoghi frequentava, in che cosa credeva, quali persone
                  amò più  profondamente e da chi fu amata, perché la
                  sua poesia fu sottovalutata nell’ambiente culturale milanese
                  degli anni Trenta in cui la poetessa era inserita. (da: Premessa pp.
                  9-10) 
                Collegamenti 
                   http://www.women.it 
                    http://www.url.it/ 
                    http://www.arabafelice.it 
                    http://www.universitadelledonne.it/ 
                   
                   
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