Julia
                  Kristeva, Hannah Arendt. La vita, le parole, Roma,
                  Donzelli, 2005 
                
                  
«È  come se determinate persone si trovassero
                  nella loro propria vita (e soltanto in tale dimensione, non
                  in se stesse in quanto persone!) talmente esposte da poter
                  essere paragonate nello stesso tempo a punti d’incrocio
                  e a oggettivazioni concrete “della” vita».
                  Quando scrive queste righe, Hannah Arendt (1906-75) ha 24 anni.
                  Forse non è una strana coincidenza che oggi, a cento
                  anni dalla sua nascita, esse descrivano magistralmente il suo
                  complesso itinerario personale. 
                  Giovane studentessa di filosofia, studia a Friburgo con Martin
                  Heidegger: un incontro che – nonostante gli insanabili
                  conflitti e le tempeste sentimentali – segnerà irreversibilmente
                  il suo percorso speculativo e spirituale. Di famiglia ebrea,
                  nel 1933 è  costretta a fuggire dalla Germania nazista
                  per approdare in Francia e infine a New York. Una vita vissuta
                  con rara intensità, che a più riprese si specchia
                  nella storia e nelle drammatiche vicende del suo tempo. In
                  questa biografia – che insieme a quelle di Colette e
                  Melanie Klein, forma il grande trittico dedicato da Julia Kristeva
                  al «genio femminile» – vengono ripercorsi
                  con appassionata lucidità gli sviluppi di un pensiero
                  che fin da subito ha posto al centro del suo interesse il tema
                  della vita. Negano la vita umana sia il nazismo sia lo stalinismo,
                  che con intuizione assai precoce la filosofa ha definito come
                  due facce dello stesso orrore totalitario. Nelle moderne democrazie,
                  dominate dalla macchina, l’essere umano finisce per diventare
                  superfluo. Esiste una possibilità di salvezza? Hannah
                  Arendt ci crede e scommette su quel miracolo di una pluralità  vivente
                  che può dar vita a una configurazione democratica dello
                  spazio politico. Una utopia? Forse no, suggerisce Julia Kristeva,
                  piuttosto una possibilità di riscatto e dunque una promessa.  
                
                  
                  
                  
                  
                  
                  (dalla quarta di copertina) 
                  
                
                  
                  
                  
                  Julia Kristeva è nata il 24 giugno 1941 a Silven in
                  Bulgaria. Nel 1963 si diploma in Filologia romanza all’Università di
                  Sofia. Attualmente insegna Linguistica e Semiologia all’Università di
                  Parigi. Esponente di spicco della corrente strutturalista francese,
                  ha poi rivolto i suoi interessi alla psicoanalisi. Tra le sue
                  opere tradotte in italiano ricordiamo: In principio era
                  l’amore. Psicoanalisi e fede (Bologna 1987); I
                  samurai (Torino 1991); La donna decapitata (Palermo
                  1997). Della trilogia dedicata al «genio femminile»,
                  Donzelli ha pubblicato Colette. Vita di una donna (2004), Melanie
                  Klein. La madre, la follia (2006). 
                Collegamenti 
                   http://www.ecologiasociale.org/ 
                   
                   
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