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Fondi e raccolte | Le biblioteche storiche napoletane
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Le biblioteche storiche napoletane

 

Si definiscono storiche quelle biblioteche che, confluite nei fondi della Nazionale, hanno conservato la propria identità, senza fondersi con le altre raccolte. Di origine diversa, sono accomunate dal fatto di essere sorte come biblioteche di pubblica utilità o di essere state destinate alla fruizione pubblica in un determinato momento della loro storia. Prima fra tutte la Brancacciana, inaugurata nel 1690 e rimasta a lungo la vera biblioteca della città, anche dopo l'apertura della Real Biblioteca. La sua nascita fu infatti un grande evento per tutti i cittadini napoletani che non avevano il privilegio di accedere alle vaste librerie conventuali. Pubbliche furono anche le tre biblioteche ottocentesche, fisicamente riunite al secondo piano della Nazionale in Palazzo Reale, la San Giacomo, la Provinciale e la San Martino; tutte ebbero proprie sale di studio, propri cataloghi e proprio personale. Non pubblica ma sorta come Biblioteca privata del re era la Biblioteca Palatina; eppure, dopo l'Unità, fu per volontà dei Savoia divisa tra le maggiori biblioteche della città, divenendo così, benché smembrata, di uso pubblico. Principalmente per tale motivo ci è parso opportuno inserirla in questo contributo, tanto più che, formatasi e sviluppatasi nel Palazzo Reale, non può non essere ritenuta una delle biblioteche storiche della città.

Biblioteca Brancacciana
Costituita a Roma nella prima metà del 1600 dal card. Francesco Maria Brancaccio e portata a Napoli per sua volontà, la Brancacciana è stata la prima biblioteca pubblica aperta a Napoli. Il cardinale, che possedeva una raccolta di circa 20.000 volumi, morendo, la lasciava alla sua città perché vi fosse istituita una biblioteca di pubblica lettura. Il nipote, card. Stefano, potrebbe definirsi il vero fondatore della biblioteca; dopo la sua morte, i fratelli Emanuele, vescovo di Ariano che la arricchì di ben 35.000 volumi, e fra Giovanni Battista, baly di Malta, furono gli esecutori delle volontà testamentarie dello zio e curarono la sistemazione della biblioteca nel palazzo attiguo alla Chiesa ed all'Ospedale di Sant'Angelo a Nido. La Brancacciana, con una dotazione annua di 800 scudi d'oro, fu inaugurata nel 1690, ma, per ultimare le operazioni relative alla collocazione delle opere e per completare l'arredamento, fu aperta al pubblico a metà del 1691. Alcuni doni di notevole importanza portarono nuovo incremento, come quello del barone Andrea Gizio patrizio beneventano, che nel 1700 donò un'interessante raccolta di manoscritti e libri a stampa di araldica e genealogia (postillati da lui medesimo) e quello, pervenuto nel 1738, del giureconsulto napoletano Domenico Greco. Dal 1724, la Brancacciana aveva ottenuto da Carlo VI d'Austria, allora re di Napoli, il diritto di ricevere una copia di quanto si stampava nella città; decreto confermato da re Carlo di Borbone, con prammatica del 1742: " ... dos por las dos Bibliothecas Real y de S. Angel a Nido". Quando il governo francese iniziò ad incamerare le rendite delle Opere Pie, fra cui quelle della famiglia Brancaccio, la Biblioteca decadde; ma nel 1809 il Murat la pose sotto la sua protezione, la dichiarò Reale e le assegnò una dotazione annua per l'incremento. Furono acquisiti fondi pregevoli posseduti dal duca di Cassano Serra, dal medico Domenico Cotugno e da altre librerie private, quelli derivanti d alla soppressione di ordini religiosi. Si rese necessario estendere i locali della Biblioteca a quelli dell'Ospedale di Sant'Angelo a Nilo; nel 1821 perveniva, inoltre, in dono la libreria del magistrato Adamo Santelli. Messa sotto la vigilanza della Giunta eletta per la Borbonica, nel 1848 la Brancacciana, che possedeva ben 80.000 volumi, in attesa di ampliamento nei locali del soppresso Monastero di Donnaromita, fu chiusa al pubblico, e andò lentamente decadendo a causa della maggiore attenzione riservata dal governo borbonico alla Biblioteca Nazionale ed all'Universitaria. Nel 1860 fu il principe Gherardo Brancaccio ad assegnare alla Brancacciana una dotazione per il suo mantenimento e per i lavori necessari all'edificio. Rimasta autonoma fino al 1866, nel 1867 era nuovamente chiusa; riapriva grazie alla convenzione stipulata, nel 1868, con il principe Brancaccio, convenzione che si rinnovò ogni due anni. La Biblioteca, che già nel 1870 dipendeva dalla Nazionale, si accresceva, però, ben poco, tranne che per l'incremento pervenutole dalla raccolta di Domenico Jaccarino, presidente del Circolo Promotore Partenopeo "G. B. Vico". Nel 1896 la Brancacciana fu annessa alla Biblioteca Universitaria; tornata autonoma nel 1901, fu, infine, incorporata alla Nazionale nel 1922 e ne fu iniziato anche il trasporto nella Reggia, dove però, per carenza di spazio, non poté essere sistemata e non poté funzionare come sezione autonoma. Quando fu consegnato alla Nazionale, nel 1937, anche il bell'edificio seicentesco della famiglia Brancaccio, si decise di riportare l'antico fondo, tranne i manoscritti e gli incunaboli, nella sua primitiva sede di vico Donnaromita; successivamente l'antica biblioteca, circa 90.000 volumi, è tornata nella Nazionale. Le schede dei suoi libri, fuse nel catalogo generale, hanno segnatura strutturata come segue: B. Branc. numero arabo - lettera - numero arabo; le opere vengono date in lettura presso l'Ufficio Distribuzione. E materiale librario considerato raro, individuabile dalla segnatura Inc. Branc. e Rari Branc. è, invece, custodito e dato in lettura nella Sezione Manoscritti e Rari, cosi come l'importante raccolta di manoscritti.


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Biblioteca San Giacomo
Così chiamata per l'edificio dov'era posta, già sede dei Ministeri di Stato, fu fondata con decreto del 12 luglio 1863 come biblioteca serale. Fu aperta al pubblico nel 1865. Alle opere appartenute ai disciolti dicasteri di Presidenza, Grazia, Giustizia e Culti, Finanza, Interno e Polizia, Estero e Istruzione Pubblica furono riunite quelle pervenutele dalla Biblioteca Palatina di Napoli, insieme a bellissimi mobili; si aggiunsero i fondi librari di alcuni monasteri soppressi, tra cui il monastero di Sant'Efrem Nuovo, di San Giorgio Maggiore, di Santa Maria la Nova, di Santa Brigida e di Santa Teresa. Il primo bibliotecario della San Giacomo, nominato per disposizione di Vittorio Emanuele II, fu Camillo Minieri Riccio. Nel 1875 la San Giacomo fu annessa alla Nazionale; fu la prima biblioteca ad essere trasportata, nel 1922, nella Reggia di Napoli. E' prevalentemente una raccolta di opere di carattere letterario, storico, sociale; è, inoltre, ricca di pubblicazioni ufficiali, di periodici ed anche di opere letterarie moderne. La sua consistenza è di circa 33.000 volumi e di 2.000 opuscoli. Il suo catalogo a schede è fuso nel catalogo generale della Nazionale e la segnatura di collocazione è strutturata in una sequenza di tre numeri arabi.


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Biblioteca Provinciale
Fu istituita nel novembre 1872 dalla Provincia, che ottenne che due biblioteche, oramai chiuse, quella dell'Ufficio Topografico e quella del Collegio Militare, divenissero pubbliche. L'Ufficio Topografico era sorto nel 1780 allorché fu chiamato a Napoli Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, illustre geografo padovano, per redigere la carta topografica di tutte le province continentali del Regno delle Due Sicilie. Gli oltre 22.000 volumi della raccolta andarono a formare il nucleo essenziale della costituenda Biblioteca Provinciale. La Biblioteca del Collegio Militare fu fondata nel 1787, quando la Real Accademia Militare fu trasferita a Pizzofalcone nell'ex convento dei gesuiti della Nunziatella. In vista dell'abolizione del Collegio, nel 1873, la biblioteca venne divisa tra la Provinciale (circa 4.700 volumi) e la biblioteca del presidio militare di Napoli (circa 530 volumi); il Collegio Militare, però, non venne più soppresso e, pur avendo il Comando dell'Istituto avanzato richiesta per la restituzione della sua biblioteca, la riottenne, in parte, solo dopo il 1883. La Provinciale venne aperta al pubblico nel 1874 nella sede del convento de' Crociferi a' Mannesi e fu inaugurata da Paolo Emilio Imbriani, che ebbe parole di vivo apprezzamento per il materiale in essa presente: opere di architettura, opere rare di viaggi, carte militari, edilizie, idriche, agrimensorie, stradali; inoltre numerosissime piante di città, pregevolissime carte geografiche e topografiche ed un'importantissima raccolta di periodici scientifici. Nel 1924, vista l'affinità delle raccolte, la Commissione preposta al trasporto delle biblioteche napoletane nella Reggia si dichiarò favorevole a riunire la Provinciale alla San Giacomo ed alle altre raccolte alloggiate al secondo piano della Biblioteca Nazionale.I volumi della Provinciale, il cui catalogo è fuso nel catalogo generale della Nazionale, presentano la segnatura strutturata come segue: B. Prov. numero romano - numero arabo.


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Fondo San Martino
Fu l'archeologo Giuseppe Fiorelli, direttore del Museo Nazionale di Napoli e soprintendente degli scavi, a creare questa raccolta, nel 1876, col nome di Biblioteca del Museo di San Martino, affinché la città avesse una biblioteca storica esclusivamente napoletana. La Biblioteca della Certosa di San Martino, invece, ricca e ben conservata (il suo primo nucleo risaliva al sec. XIV), dopo la rivoluzione del 1799, era stata incorporata alla Reale Biblioteca alla quale non pervennero, però, molti dei suoi pregevolissimi codici. Il Fiorelli formò la raccolta anche con le opere scelte dalle librerie di antichi monasteri, e, tra questi, quello dei Teatini, della cui biblioteca pervennero alla Nazionale anche i cataloghi. La consistenza del Fondo è di circa 10.000 opere a stampa e di 786 manoscritti, i quali documentano, in buona parte, la storia civile e religiosa; moltissime delle opere a stampa guardano Napoli e la zona flegrea, sia dal punto di vista storico che archeologico; numerosi altri testi hanno carattere ascetico e storico; inoltre fondo contiene molti periodici locali, edizioni rare e libretti teatrali in dialetto napoletano. L'annessione del Fondo alla Nazionale risale al 1924; nel 1936 il direttore del Museo di San Martino ottenne che venissero riportati al Museo i manoscritti che rivestivano particolare importanza per la storia del Risorgimento, come le carte Savarese, le carte Bianchini, il manoscritto del Nicasio e i duplicati di particolare importanza. Le opere presentano una segnatura strutturata come segue: Numero romano-Numero arabo-Numero arabo. Le schede sono presenti nel catalogo generale della Nazionale.


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Fondo Palatino
La raccolta attualmente denominata Fondo Palatino è solo una parte di quella biblioteca che, nata in Palazzo Reale nella seconda metà del XVIII secolo, costituiva la biblioteca privata del re Ferdinando IV. Le sue sorti furono indissolubilmente legate a quelle della dinastia borbonica; quando, infatti, i sovrani dovettero fuggire da Napoli, alla vigilia della proclamazione della Repubblica Napoletana del 1799, le raccolte librarie furono trasportate in Sicilia e, a Palermo, furono ordinate e catalogate. La Palatina si accrebbe sia grazie all'incremento determinato dal decreto sul deposito obbligatorio, sia, successivamente al ritorno a Napoli dei Borbone, con i libri appartenuti alle biblioteche private di Gioacchino e Carolina Murat; inoltre molte opere stampate fuori dal Regno furono acquisite o donate alla biblioteca privata del Re da sovrani ed illustri personaggi di altri paesi. Dopo la cessione allo Stato, nel 1863 i libri della Biblioteca Palatina furono ripartiti fra la Nazionale, l'Universitaria e la San Giacomo; quella parte della raccolta, che rimase alla Casa Reale - l'attuale Fondo Palatino - si arricchì solo con poche acquisizioni, di carattere prevalentemente giuridico, del periodo postunitario. Nel secondo dopoguerra la Palatina fu incorporata alla Nazionale e sistemata negli ambienti del secondo piano: circa 10.000 volumi e ben pochi dei suoi manoscritti, essendo quasi tutti passati nel 1922 all'Archivio di Stato di Napoli. I libri della Palatina hanno carattere vario: storico e documentario, in particolare per gli anni successivi alla Restaurazione (editti, reali rescritti, collezioni di leggi e decreti, ed in genere le varie pubblicazioni stampate dalle tipografie dei dicasteri borbonici e dalla Stamperia Reale); carattere scientifico ed anche letterario; numerosissime sono le opere illustrate di grande pregio, le stampe e i disegni originali dei più rinomati artisti italiani e stranieri. La segnatura di collocazione delle sue opere è contraddistinta dai seguenti elementi: Palat. - numero romano - numero arabo o Suppl. Palat. o II Suppl. Palat.


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