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                 Rani 
                  Manicka, Madre del riso, Milano, Mondadori, 2004 
                Lakshmi 
                  trascorre l’infanzia libera e spensierata nell’intatta natura 
                  dell’isola di Ceylon. Niente e nessuno l’ha preparata a un cambiamento 
                  per lei incomprensibile: sposare – a soli quattordici anni – 
                  un uomo molto più vecchio e trasferirsi in una terra 
                  – la Malaysia – davvero troppo lontana. Lakshmi si trova così 
                  a dover costruire un mondo da sola, senza l’appoggio del marito, 
                  con tutte le difficoltà di una madre costretta a guadagnarsi, 
                  giorno per giorno, una dignitosa sopravvivenza. La durezza e 
                  la passione di quegli anni creano un’indimenticabile figura 
                  di donna: è lei la Madre del Riso, forte e magica, complessa 
                  e misteriosa, moderna ma legata a tradizioni millenarie. Le 
                  sue vicende familiari percorrono tutto il Novecento fino a costruire 
                  un affresco incredibilmente ricco, in cui si intrecciano l’amore 
                  assoluto, l’ansia di vendetta, la paura e il riscatto, sullo 
                  sfondo dell’occupazione giapponese della Malaysia. 
                (dalla 
                  quarta di copertina) 
                  
                Ho 
                  sentito parlare per la prima volta degli stupefacenti raccoglitori 
                  di nidi di un lontano paese chiamato Malesia sulle ginocchia 
                  di mio zio, il commerciante di mango. Senza torce si inerpicano 
                  coraggiosamente su altissimi pali oscillanti di bambù 
                  per arrivare al tetto di grotte scavato nella montagna. Vegliati 
                  dai fantasmi degli uomini che sono morti precipitando a terra, 
                  tendono la mano da quei loro incerti trespoli per prendere una 
                  prelibatezza cara ai ricchi: un nido fatto con saliva di uccello. 
                  Nell’oscurità non devono mai venir pronunciate parole 
                  come paura, caduta o sangue, perché riecheggiano e tentano 
                  gli spiriti malvagi. I soli amici dei raccoglitori di nidi sono 
                  i pali di bambù che sostengono il peso. Prima di iniziare 
                  ad arrampicarsi, gli uomini battono lievemente sul bambù, 
                  e se il bambù sospira tristemente lo abbandonano subito. 
                  Soltanto quando il bambù canta i raccoglitori di nidi 
                  osano iniziare la ricerca. (da: p. 9) 
                Collegamenti 
                  
                  http://www.ildialogo.org 
                    
                  http://it.wikipedia.org 
                  
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