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La scrittura della differenza. Testi di drammaturghe dal Sud, a cura di Annamaria Crispino, Roma, manifestolibri, 2006

La scrittura della differenza. Biennale internazionale di drammaturgia femminile, giunta alla sua terza edizione, nasce a Barcellona nel 1999, come un tentativo di sopperire alla storica esclusione delle drammaturghe dai circuiti ufficiali. Nel 2000/2001, grazie alla sua ideatrice e organizzatrice, Alina Narciso, si sposta a Napoli […] Nella seconda edizione (Napoli 2003/2004), la manifestazione assume le caratteristiche che tuttora la connotano, focalizzando l’attenzione sulle culture del Sud oltre che sulla produzione teatrale di genere. I paesi partecipanti sono stati Cuba, Argentina, Italia e Spagna. La manifestazione si è conclusa con la mise en espace e la pubblicazione dei testi vincitori: Edgardo practica, Cósima hace magia di Patricia Suárez, Hortensias y violetas di Esther Suárez Duran, EI vuelo del Quijote di Raquel Carrió. Per il 2005-2006 sono stati invitati a partecipare: Cuba e le culture afro-cubane, il Portogallo e le culture afro-portoghesi, la Spagna e l’Italia, con il proposito di creare un «osservatorio» dove i due filoni di riflessione e di ricerca - le differenze di genere e quelle culturali ed etniche - potessero incrociarsi. Ha promosso l’iniziativa l’assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Napoli, in collaborazione con il Consejo Nacional de las Artes Escénicas del Ministerio de Cultura de Cuba, la Oficina de Políticas de Igualdad de Gijón, Asturias, España, il Teatro Municipal Jovellanos de Gijón, la Libreria Mabooko de Lisboa e Associaçao cultural Tocatoca. (da: La biennale internazionale di drammaturgia femminile, p. 117)

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«La differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia», avverte con la sua spietata lucidità Carla Lonzi, ed ha ragione. Tanto è vero che nessuno parla (ancora) della differenza dell’uomo, cioè di quell’essere scontato, indiscutibile, intorno al quale sono state misurate tutte le cose. L’uomo è. La donna è altro. L’uomo è soggetto, la donna è un oggetto all’interno del sistema disegnato dai dominanti maschi che nella teoria sociale vigente in Occidente (nel Primo Mondo?, nel mondo dei ricchi?) basa la propria libertà sull’esistenza di settori per definizione non liberi a cui sono affidate le relazioni di riproduzione, di dipendenza, di custodia, di tutela e di altruismo: donne e servi, donne e schiavi, sfruttate e sfruttati. Un tema ricorrente nell’iconografia coloniale è la sessualizzazione dell’altro come femminile, un trucco per evocare la necessità di tutelare, proteggere, decidere il destino dell’altro, per sua natura incapace - proprio come le donne - di mettersi all’altezza dei tempi. La sessualizzazione dell’altro come femminile ha costituito un aspetto essenziale del processo di «civilizzazione» prodotto da un Nord maschio a spese di un Sud femminilizzato. Le donne nel cuore stesso dell’ordine capitalista patriarcale e le numerose razze, etnie e civiltà altre - i dannati della terra - per secoli hanno occupato uno spazio inferiore, sono stati mantenuti al di sotto del luogo occupato dall’unico soggetto storico valido, portatore di progresso e di civiltà, di raziocinio e di ricchezza. […] Lavorare sulle differenze offre straordinari stimoli e aperture alla conoscenza. A patto che la differenza non venga ridotta a qualcosa di separato e di lontano, ad altro. Incombe, dunque, al soggetto resistente - le donne – il compito di proporre nella pratica un diverso modo di pensare; per esempio, pensare simultaneamente da diversi punti di differenza e non esclusivamente dal punto dolente della differenza sessuale, giacché l’omogeneità, le identità rigide incorrono fatalmente in quel terribile difetto che è l’esclusione, nemico giurato della democrazia il cui orizzonte è, e deve essere, plurale ed eterogeneo. Accontentarsi di un nuovo status, di un ruolo diverso, infinitamente meno oppressivo, ma pur sempre un ruolo, presenta il rischio di andarsi a cacciare docilmente in una nuova gabbia identitaria, certamente ampia e spaziosa, ma pur sempre gabbia, pur sempre uno spazio chiuso, i confini del quale possono essere esplorati con coraggio e intelligenza, in un falso movimento che inevitabilmente finisce con l’imbrigliare le dirompenti energie liberate, assegnando alle donne un nuovo ruolo al quale dovremo nuovamente soggiacere. […] Ma allora vale la pena di riflettere sul fatto che la donna del sud del mondo deve combattere contro la miseria, contro lo sfruttamento suo e dei suoi figli, e perfino contro la discriminazione imposta dal suo più diretto superiore (marito, padre, fratello) come lei sfruttato e misero e vessato ma, contrariamente a lei, ancestralmente convinto della sua superiorità e autorizzato ad esercitare il suo miserabile potere di maschio sulla femmina. Vale la pena di riflettere su come la rivoluzione delle donne, che ha sconvolto il Novecento e che ha la possibilità di indurre radicali trasformazioni nel Terzo millennio, debba tener conto del più vasto problema dello sfruttamento del forte sul debole, dell’arbitrario esercizio del potere del superiore sull’inferiore (valori questi che vengono stabiliti sulla base di una autoproclamazione di superiorità), dell’assoluta necessità che tutto quanto il movimento delle donne ha elaborato a partire dall’esperienza dell’inferiorità e dell’emarginazione venga messo al servizio dell’umanità tutta. Adesso le donne cominciano ad abitare la storia operando, insieme a migranti e a diversi, come una quinta colonna sudista nel cuore stesso del Nord; individuano nella necessità di sopravvivere - alle guerre, allo spreco delle risorse – una coincidenza di pensiero fra Primo e Terzo mondo, ed arrivano a pensare che forse sarà possibile assicurare a Rigoberta Menchú - india quiché (e Premio Nobel per la Pace) che suole ripetere, orgogliosa ma anche sconsolata, «il mio orologio è un altro» - che forse è arrivato il momento di cominciare a battere lo stesso tempo, tempo dell’inclusione e dell’eguaglianza, tempo di vera democrazia. (da: PostfazioneSud di Alessandra Riccio, pp. 109-11, 115)

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Le autrici: Raquel Carrió, è nata all’Avana nel 1951. Docente, ricercatrice e drammaturga ha fondato la Facoltà di Arti Sceniche dell’Università dell’Avana e la Scuola Internazionale di Teatro dell’America Latina e del Caribe. Ha impartito conferenze e seminari in America Latina, Europa, Nordamerica, Asia, Africa e Australia. Ha fatto parte della Scuola Internazionale di Antropologia Teatrale diretta da Eugenio Barba. È assistente alla drammaturgia del Teatro Buendía dell’Avana fin dalla sua fondazione.
Gabriella De Fina, è nata a Potenza il 26 febbraio 1958, attualmente vive a Palermo. Dopo la maturità classica si è laureata in giurisprudenza e ha studiato recitazione presso la scuola Teatés diretta da Michele Perriera. Si è poi trasferita a Città del Messico dove ha fatto teatro di strada e lavorato come attrice in lingua spagnola. In seguito ha seguito stages con: Rena Mireka, Susan Strasberg, Robert Wilson, Carlo Cecchi, Natalia Kolyakanova. Ha condotto laboratori teatrali in Italia e all’estero. Fra i registi con cui ha lavorato come attrice: Robert Wilson, Marco Baliani, Roberto Guicciardini, Walter Manfré, Natalia Kolyakanova, Vincenzo Pirrotta, Michele Perriera. Insieme alla scrittrice Evelina Santangelo ha messo in scena performance ispirate ai suoi libri. Ha fatto teatro-danza con Grant McDaniel ed è stata voce recitante in opere di teatro musicale e radiodrammi per la RAI. Con Roberta Torre ha realizzato i corti «L’Orlando Furioso» e «Pene d’amor perduto». Ha inoltre curato la regia e la drammaturgia di vari spettacoli (fra cui i «Viaggi sentimentali» del Parco letterario Tomasi di Lampedusa) ed è essa stessa autrice di testi teatrali. Flora Lauten, è nata all’Avana nel 1942. Professore ordinario di Recitazione e regia alla Facoltà di Arti Sceniche dell’Università dell’Avana, attrice e regista teatrale, ha fondato nel 1986 a Cuba il Teatro Buendía. Le sue messe in scena hanno ottenuto numerosi premi, riconoscimenti del pubblico e della critica specializzata in America Latina, Europa, Nordamerica, Asia, Africa, Australia. Nel 2005 ha ottenuto il Premio Nazionale di Teatro alla carriera. Liliam Ojeda Hernández, allieva di Esther Suárez nel Seminario Nacional de Drammaturgia di Cuba. Nonostante la sua giovane età ha già scritto numerosi testi, di cui alcuni (El eterno día de San Valentín, Raíces) andati in scena. Lavora attualmente come assistente alla regia nella Compañìa Teatral «Rita Montaner». Sara Rosenberg, scrittrice, drammaturga e artista visiva è nata in Argentina nel 1954. Nel 1975 ha scelto l’esilio. Ha vissuto a Montreal (Canada), in Messico e, dal 1982, risiede a Madrid. Ha pubblicato tre romanzi, Un hilo rojo (Espasa Calpe, 1998), Cuaderno de invierno (Espasa Calpe, 2000) e La edad de barro (Destino, 2003). Ha pubblicato anche racconti e opere di teatro con le case editrici EDAF, Lengua de Trapo, Redes, Fundamentos. Ha tenuto numerose mostre di arte visiva a Madrid, Lisbona, Parigi e Buenos Aires. Ha realizzato due video documentari: Cartografía de Madrid e Durmientes. (p. 119)

Dall’indice: Prefazione di Anna Maria Crispino; Frontiera di Gabriella De Fina; Io non sono Charlot di Liliam Ojeda Hernández; Il tripalio di Sara Rosenberg; L’altra tempesta di Raquel Carrió e Flora Lauten; Postfazione: Sud di Alessandra Riccio; La Biennale Internazionale delle Drammaturghe; Le autrici.

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Collegamenti

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