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Teca delle nuove accessioni
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Jeanne Hersch, La nascita di Eva. Saggi e racconti. Prefazione di Jean Starobinski con una nota di Roberta De Ponticelli, Novara, Interlinea edizione, 2000

I testi qui raccolti sono diversi, eppure simili. Sono testi in cui la filosofia abbandona i sentieri che le sono consueti, per divenire, semplicemente, più filosofica. Come attingere la più grande libertà di scrittura? Talvolta, paradossalmente, rispondendo al richiamo di un’occasione fuggevole, aggrappandosi all’immagine di un essere determinato, di un istante eccezionale, di un’opera d’arte portatrice di senso e di sogno. Talvolta, invece, indirizzandosi solo a se stessi – per quanto ci si possa davvero limitare a sé - e lasciandosi guidare dalla necessità della riflessione suscitata dalla presenza di un albero, del mare, del vento, del tempo silenziosamente attivo. Si parla, allora, a partire da un’inquietudine primordiale, si interroga l’enigma dell’esistere, il sentimento dell’essere prossimi e separati, sino a trovare le parole che sanno dire «l’esilio e l’addio». Questo modo di scrivere, nella sua libertà, sfugge ai vincoli di forma che legano le discipline dell’intelletto all’obbligo dell’esposizione discorsiva: lo studio, l’articolo, il libro metodicamente concepito. L’invenzione, qui, riceve carta bianca. Tuttavia l’esigenza della forma è ancora desta, e il desiderio di verità non è meno vivo. Altri approcci di ordine filosofico divengono possibili, altri rapporti con il vero possono ora tracciarsi, per vie più dirette o per sentieri obliqui, inattesi. Quando la parola della riflessione si arrischia tanto lontano dal genere di discorso che le è istituzionalmente assegnato, quando prende a oggetto la presenza semplice, orlata d’assenza, cinta di ciò che la rende “particolare”, acquista la possibilità di accedere a uno spazio più aperto: a quello spazio in cui il “generale” prende, infine, a respirare. Si inizia ad avvertire qualcosa dell’accento della poesia: segno della prossimità, finalmente raggiunta, di un segreto da tempo rincorso.[…] Ecco perché queste pagine - in cui si profila, quasi senza volerlo, il coronamento di un’opera – dovevano essere raccolte. Se fossero rimaste sparse, introvabili, si sarebbero sottratte a una piena conoscenza di Jeanne Hersch. La sentiamo parlare, qui, da vicino, e interrogarsi su ciò che conta di più, sulle idee e sui valori che vuole condividere. Avvertiamo un invito appassionato a mantenere desta, ovunque e al fondo di noi stessi, quella libertà che il frastuono e le perversioni del nostro secolo minacciano. E incontriamo, soprattutto, nella densità del simbolo, le convinzioni fondamentali di una filosofia che, riconosciuti l’esilio e l’assenza nel tessuto stesso dell’esistenza, trova in essi la risorsa cui attingere le proprie affermazioni più forti. (da: Prefazione, di Jean Strarobinski, pp. 7-9)

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