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Percorsi bibliografici

Senti la corrente
di Lucia Marinelli

Parte 3/3

L’intreccio: la storia comincia come un noir  sconclusionato e divertente il cui improbabile protagonista mascherato, Spirit/Daniele Beretta, è incaricato dell’indagine sulla sparizione di una certa Regina “Queen” Casella cantante, con Moira, nel gruppo rock Las Sobrinas. Ma Spirit sembra incapace di seguire la sua pista: il più classico degli inseguimenti nel traffico vacanziero di Civitacentri dietro una vistosissima Ferrari rossa, con a bordo la splendida Moira, finisce con un pestaggio della polizia che riduce l’investigatore ad un ammasso di carni tremanti riverso a terra, in preda ad un attacco di epilessia. Nel cuore della storia  c’è però uno scarto, un salto dal fumetto al dramma: Spirit è un uomo che nell’assumere il  nome di un fumetto e cancellare la sua precedente identità ha cercato di respingere l’ingarbuglio umano di sentimenti, pulsioni e rimpianti ed ora precipita, suo malgrado, nel gorgo di una passione incontrollabile. Finirà poi con abboccare come la più stupida delle prede in un tranello teso ad arte in cui la bella fatale, travestita e sdoppiata, non è che una pedina. Man mano che viene irretito nella vicenda, il protagonista comincia a sentire sulla propria pelle il senso, inizialmente oscuro, del messaggio di Regina sulla cartolina inviata da Granada* prima di sparire: “A che serve vedere se occorre sentire la corrente” (p. 39).

*Alcuni giorni fa, leggendo Il paradiso degli orchi di Daniel Pennac ho avuto un’illuminazione circa la scelta di  Granada e della Spagna quale teatro del denouement della vicenda: ad un certo punto la bella e vogliosa partner del protagonista Malaussène (di professione capro espiatorio) gli dice: “in spagnolo amare si dice comer”… Il significato principale del verbo comer è mangiare.

Proprio perché Spirit(o) rifugge dalla complicazione delle passioni, dal suo essere “unghie, capelli, ormoni” (p. 187), per lui la donna è fango, melma, muffa – forse è questo il senso del color verde elettrico che caratterizza l’abbigliamento di Moira e che si estende  persino ai suoi fatidici occhi nell’ultimo incontro con l’investigatore. Lo spirito tenta il distacco dal biblico fango, ma invano: più forte è la disintegrazione  proprio perché contraddittoria e velleitaria è stata la sua scelta di farsi disegno su un foglio di carta. Nel tratto di Dalisi, Spirit appare sin dall’inizio evanescente, fluido. Nella lotta fra la voglia e il volere quest’ultimo soccombe senza quasi combattere: appena il profumo di Moira entra nella sgangherata esistenza di Spirit questi si chiede “se quello era amore” (p. 33).

Eppure Moira è qualcosa di più di un corpo, insieme di secrezioni e ormoni che attrae e repelle. Se all’inizio è percepita soprattutto come seno-cosce, perseguita, inchioda Spirit con lo sguardo, e lo sguardo diventa “occhio nel cielo” (il dickiano Eye in the Sky) che rende Spirit a sua  volta oggetto, marionetta che si muove sotto un riflettore implacabile, fisso, di un nero ossidiana  (pp. 125, 136).

Illustrazione di Luca Dalisi per il Fermo Volere (p. 22)Conclusioni solo per chi vuol sapere come va a finire, magari da leggere dopo aver letto il libro…
Polpo mon amour: Spirit, scopertosi ormai inseguito più che inseguitore, malcapitato insetto in una gigantesca quanto inspiegabile tela di ragno, o meglio polpo in una  “vasca, con l’acqua schifosa e tutto il resto” (p. 269), diviene martire (nel senso letterale di testimone) di una pazzesca, ingarbugliata teoria psicologica, mentre il giovane Ebony viene fatto a pezzi come un animale sacrificale, nel buio della notte di capodanno all’Alahambra. Un senso quasi metafisico di orrore, già presentito da Spirit nella forza devastante del desiderio, nella violenza crescente dei suoi gesti e pulsioni - dai bonari calcioni assestati ad Ebony al desiderio prepotente di uccidere la guardia del corpo di Saro Buono, alla volontà  di auto-annientamento avvertita  al cospetto dell’immenso cielo andaluso (p. 85), all’acquisto di coltelli per difesa risultati poi strumenti di tortura per Ebony – travolge infine il protagonista che si getta nelle acque del fiume Darro. E Spirit sente letteralmente la corrente, il suo cadavere viene trascinato via dal fiume.

Soffermiamoci un attimo sulla sorte di Ebony, la cui presenza,  apparentemente giustificata dalla necessità di dare una spalla al detective -  una specie di Watson più giovane ed aitante - diventa il fulcro della vicenda. Si è colti di sorpresa dal fatto che sia lui e non Spirit la vittima designata, ma già nelle parole di Saro si intuisce, a ben guardare, che è il ragazzo il prescelto (ulteriore ironia della sorte se si vuole): è nell’adolescente infatti che il desiderio sessuale ancora latente va stroncato sul nascere, per evitare l’instaurarsi dell’eterno bisogno dell’altro, del “ rimbalzo”, dell’uno-e-due, del rapporto mangiare-e-fottere che è tipico della parte istintiva, animale dell’uomo e che  l’uomo nuovo, liberato, deve superare, secondo le teorie Mori-Buono**.

** C’è da chiedersi se non ci sia in questa combinazione di cognomi un’allusione ironica al Ben Morire di seicentesca memoria.

L’uomo deve annientare e inglobare in sé  l’oggetto del desiderio che può essere indifferentemente cibo e partner : uno-è-due, mangiare-è-fottere. In proposito appare particolarmente illuminante la vignetta del polpo/uomo/globo sollevato in aria da un trionfate e rivitalizzato dr. Mori al cospetto dei suoi adepti (p.200). Forse una residua pietas dello scrittore ci risparmia la scena di tortura e di probabile cannibalismo su Ebony grazie allo svenimento di Spirit. Il misericordioso montaggio della storia agisce ancora anticipando nel racconto la morte dell’imbranato e simpatico protagonista e quasi ne smorza la drammaticità con il  ricordo di cadute assai meno rovinose, laddove c’erano esseri umani, amici pronti a soccorrerlo o per lo meno a compatirlo. Lo ritroviamo infine cadavere, povero fagotto intrappolato sulle sponde del fiume in una cespuglio mentre i due complici assassini si allontanano senza fretta - lei ormai satolla vedova nera. Un commissario spagnolo svolge svogliatamente i primi accertamenti, già convinto di dover insabbiare la vicenda.

Torniamo al titolo: Il fermo volere è forse l’oscura trama che irretisce il protagonista,  una volontà malvagia, l’orrore che sottende la vita di ogni giorno ed a tratti emerge, una intuizione che rimanda ad un altro saggio di Gabriele Frasca, La scimmia di Dio (Costa & Nolan, 1996). 

In fine, una nota scherzosa: se il romanzo si può leggere anche come una sestina provenzale, vi propongo i sei termini che a mio parere sono ricorrenti, pur con varianti verbali e semantiche:occhio-elica-pietra-guardare-schiacciare-mangiare. Ovviamente un romanzo non è una sestina ed i giochi sintattici sono meno evidenti, provate anche voi a cercare parole-chiave poi, se vi va, scrivetemi:
Lucia Marinelli
americana@bnnonline.it

Lucia Marinelli

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Nell'immagine:
Illustrazione di Luca Dalisi per il Fermo Volere (p. 22)


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